di Patrizia Bettarelli
con un contributo di Edoardo Albinati
Quante volte si abusa dell’immagine del sogno dando per scontato sia sinonimo di libertà. Al contrario, i sogni possono essere soffocanti, oppressivi. La realtà che mettono in scena ha una densità talvolta insostenibile, e ad essa il sognatore resta inchiodato. Il vincolo del sogno è tanto forte che, da svegli, si finirà per eseguire a bacchetta le sue indicazioni, anche quelle catastrofiche, come pensavano infatti gli antichi, alla stregua di vere e proprie profezie. Il piccolo uomo che veglia è dunque issato sulle spalle di un titano, l’uomo che dorme, e seguirà il cammino e condividerà il destino di quel potentissimo sonnambulo.
E pur vero, però, che nel sogno si liberano idee e forze che non ci si immaginava nemmeno di possedere. Si fanno balenare ipotesi, si battono piste bizzarre e ignote, si approda a conclusioni che a loro volta non concludono ma aprono ancora nuove prospettive, sempre più profonde e remote, capaci di creare un prolungamento, un’estensione della vita strutturata come una fuga musicale: novità nella ripetizione, libertà nella costrizione. In un senso anche solo metaforico, il sogno è la palestra delle utopie e delle soluzioni radicali, mai immaginate prima: dove i problemi concreti trovano soluzioni poetiche.
Lavorando a partire dalle suggestioni di un testo alquanto enigmatico di John Berger, Patrizia Bettarelli esplora i due aspetti liminari del sogno, quello vincolante e quello libertario. Lo fa seguendo Berger nel suo percorso all’interno dell’istituzione dove queste due linee, per così dire, coincidono, dove una libertà serpentina e surreale scaturisce appunto dalla mancanza di essa, dalla sua sistematica soppressione, vale a dire il carcere. Potenza del formato ridotto: all’interno dell’angusto perimetro delle celle, così come nella cornice rettangolare delle illustrazioni, il mondo viene compresso e trasfigurato fino a creare immagini inedite, molto tangibili e al tempo stesso astratte. Visi, corpi dormienti, sbarre e porte, una gabbia, un topo, un piatto con sopra cinque mele, appartengono al mondo carcerario sia diurno sia notturno, concreto eppure fantastico. Il sogno vi rivela la sua dimensione anzitutto corporea. La reclusione produce una realtà alternativa, dentro questa casa che non è affatto una casa, dentro questa vita che è una non-vita. Come nel misterioso quadro di Piero di Cosimo all’Ashmoleum Museum di Oxford, L’incendio nella foresta, gli animali che popolano le illustrazioni di Patrizia Bettarelli si staccano dall’indistinto e confuso magma del sogno per venire in primo piano ed essere ritratti nella loro muta evidenza. Portano con sé qualcosa che eccede ogni simbolo: la resistenza organica (della pittura, degli individui reclusi, degli animali in fuga) alla pressione della cattività.
Edoardo Albinati